Non so da quanti minuti lo stavo fissando.
Avevo dimenticato i capelli in disordine, il vento, la mia pelle.
Avevo dimenticato la solitudine.
Poi, a un tratto, la voce di una guida: «Vera ossessione di Monet, le Ninfee rappresentano l’ultima maestria del suo pennello: il testamento definitivo della sua eccellenza».
In quello smarrimento sensoriale, tra quelle parole preziose, al Musée de l’Orangerie, in un soleggiato pomeriggio d’aprile, io ho sentito – ne sono sicura:
«Bonjour mademoiselle! Venga nel mio giardino…»
E fu subito Giverny, 1926.
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